Conte ha ammesso di non avere una soluzione per l’Ilva

Conte ha ammesso di non avere una soluzione per l’Ilva

08. 11. 2019 Off Di admin

Il governo sta studiando tutte le mosse per evitare che cinquemila e più lavoratori restino senza occuopazione, si sta ragionando sul nodo degli esuberi qualora Arcelor Mittal tornasse a sederse al tavolo, ma nel frattempo anche a un ‘piano B’ che veda Cassa depositi e prestiti in un ruolo di primo piano, con l’ingresso magari di altre cordate.

E’ comunque sempre stallo sulla vicenda Ilva, con il premier Giuseppe Conte che pur ammettendo che una ‘exit strategy’ ancora non c’è, ha deciso di metterci la faccia. Intestandosi il dossier, richiamando tutti alla responsabilità, facendo capire – questo il senso del suo ‘blitz’ a Taranto – che lo Stato deve essere presente. “Io vengo qui senza maschera, ma non ho la soluzione in tasca”, ha spiegato affrontando cittadini, lavoratori e contestatori.

Una mossa, quella del premier di incontrare gli operai, apprezzata dal segretario dem Zingaretti: “Ora – ha sottolineato – è importante che chi sta trattando lo possa fare sentendosi dietro la solidarietà di una maggioranza che sosterrà le azioni più utili a far far sì che l’azienda possa continuare a gestire questo sito”. E da Di Maio: “Non si è nascosto nel palazzo e per questo lo apprezzo”.

Diverse le ipotesi sul campo per uscire dall’impasse. Compresa quella della nazionalizzazione ma è una strada sulla quale oggi si registra più di una frenata. Innanzitutto – riferiscono fonti parlamentari della maggioranza – dal ministero delle Finanze. Un percorso difficilmente percorribile sia per questioni di sostenibilità economica, sia per gli eventuali paletti che arriverebbero dall’Europa.

“L’ipotesi sul tavolo è che Mittal adempia ai propri impegni: deve sviluppare investimenti, il piano ambientale, il piano industriale che si è impegnata a portare avanti. E’ questa la prospettiva del governo”, ha spiegato il ministro dell’Economia Gualtieri. Ma la strada della nazionalizzazione non sarebbe sul tavolo neanche per Zingaretti e Renzi e lo stesso Di Maio incontrando i ‘big’ del Movimento avrebbe sottolineato i rischi e le difficoltà.

E dunque? Reintrodurre lo scudo penale per Arcelor Mittal? Nel Pd si sta ragionando se proporre un emendamento ad hoc, ma la tesi che sembra prevalere è che una mossa del genere potrebbe comunque non sbloccare comunque la situazione. Per questo motivo si potrebbe prendere ancora tempo, anche se pure Italia viva insiste: “Quello che lo stato deve fare è una cosa molto semplice e doverosa: dimostrare serietà. Va tolto ogni alibi a Mittal”, ha detto il ministro Bellanova.

Ma il problema non è legato solo alle altre condizioni poste da Arcelor Mittal, in primis appunto gli esuberi (nel governo si ritiene che difficilmente arriveranno aperture su questo tema, visto che la manager che se ne sta occupando ha già trattato precedentemente con il governo e non recede sul piano dei tagli), la revisione del contratto e il nodo dello spegnimento di Altoforno 2.

L’ostacolo più grande sulla strada del ripristino dello scudo penale è la tenuta M5s. “Se il Pd presenta un emendamento ad hoc è un problema per il governo”, il messaggio indirizzato agli alleati dal capo politico pentastellato. Il fronte del no a qualsiasi tutela legale è ampio nel Movimento 5 stelle e non sembra ci sia la disponibilità ad aprire.

Anche se Arcelor Mittal dovesse tornare sui suoi passi sul disimpegno annunciato. Del resto il premier è chiaro: “Arcelor Mittal restituisce la fabbrica. Questa è la situazione” ha spiegato a Taranto “Dobbiamo valutare le alternative, perché da quello che ci è stato detto non hanno nessun interesse a proseguire il piano industriale”.

Ma il muro M5s ha irritato ancor di più il Partito democratico. “Non sono rassegnato ma bisogna fare squadra senza sgambetti”, ha spiegato il capo delegazione dem, Franceschini. La linea è quella di continuare ad esplorare la direzione del governo Pd-M5s, “ma non a tutti i costi”, ha affermato il capogruppo alla Camera, Delrio.

La fotografia è che il Pd non può permettersi che si chiuda una fabbrica senza che ci siano conseguenze. A maggior ragione – sottolinea un altro big dem – se Di Maio e Renzi continuano a giocare in proprio e continuano a non dare coperture a Conte. La prospettiva del voto anticipato resta sul tavolo, anche se c’è la consapevolezza tra i giallo-rossi che sarebbe il momento meno opportuno per andare alle urne, in questo modo – il ragionamento condiviso – si farebbe solo un favore a Salvini.

Ecco il motivo per cui lo stesso Di Maio ha aperto alla proposta di Franceschini di un nuovo ‘patto‘ di governo, “dopo la legge di bilancio sarà utile farlo”. Ma a preoccupare i dem è soprattutto il fronte pentastellato, anche perché Di Maio nell’ultimo Consiglio dei ministri ha ammesso di non tenere più i suoi. E visto che quella M5s-Pd è una maggioranza parlamentare e un’alleanza strategica la prospettiva di ulteriori fibrillazioni nel Movimento 5 stelle – con molti parlamentari che hanno tra l’altro ricevuto un sollecito di pagamento nelle rendicontazioni – porterebbe ad un vicolo cieco.

Per di più il rischio – sottolinea un esponente M5s – è che ci arrivi ad una spaccatura in tanti pezzi, non solo alla messa in discussione del ruolo della leadership. Per alcuni ‘oltranzisti’ del Movimento, quelli che hanno puntato ad un asse con i dem e vorrebbero anche alleanze sul territorio a partire dall’Emilia, non sarebbe inutile lavorare per una coalizione ‘progressista’, che tenga dentro per esempio l’area che fa riferimento al presidente della Camera Fico, alcuni ministri come Fioramonti e altri malpancisti, come quelli guidati dal deputato Trizzino. “Il Movimento in questo momento è fragile ma bisogna trovare una soluzione”, dice un altro ‘big’ pentastellato. Tuttavia una scissione sul ‘modello Pd’ non porterebbe a stabilizzare il governo e la maggioranza, anche se si appalesasse un gruppo di responsabili forzisti. 

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