Cosa fa (e cosa non fa)  l’Italia per ridurre le emissioni inquinanti

Cosa fa (e cosa non fa)  l’Italia per ridurre le emissioni inquinanti

03. 10. 2019 Off Di admin

Ottimi i risultati raggiunti dalla nostra penisola nel campo della sostenibilità ambientale. I settori analizzati: emissioni CO2, consumo di materia prima, energia e riciclo e recupero rifiuti. A proporre i dati è stato l’ultimo report, basato su dati Eurostat, di Confindustria.

In Italia molte imprese, tra manifattura e servizi, sono in prima fila a livello internazionale per il loro modus operandi meno inquinante rispetto a quello medio europeo. L’analisi proposta nell’ultimo report di Confindustria cita, nero su bianco, i dati sulle performance, in quattro settori, di tutti e 28 i paesi dell’Unione Europea: emissioni di CO2, consumo di materia prima, consumo di energia e riciclo e recupero dei rifiuti. Ebbene, in tutte le sezioni considerate, l’Italia raggiunge posizioni molto alte, risultando tra i paesi più virtuosi.

Il Green New Deal

Per affrontare il cambiamento climatico, accelerando crescita inclusiva e creando prosperità sostenibile, sembra sempre più importante rafforzare il dialogo tra politica, società civile e controparti commerciali e industriali. In questo senso, il Green New Deal annunciato da Ursula von der Leyen mira alla piena de-carbonizzazione dell’Europa entro il 2050. Il mondo dell’economia sta iniziando a mostrare un’attiva consapevolezza di quanto la sostenibilità sia strumento indispensabile per migliorare la competitività generale di un paese e delle sue imprese.

E l’Italia, in particolare, può ambire ad un ruolo politico di primo piano in questo processo, grazie all’ottima performance, in termini di sostenibilità ambientale, che la colloca in cima alla classifica dei paesi europei più virtuosi.

“Se c’è un punto focale per noi – sottolinea l’economista di Confindustria Livio Romano – è sicuramente quello di trasformare la sfida ambientale anche in un’opportunità di sviluppo. E per farlo dobbiamo creare un’industria, collegata alla sostenibilità ambientale, che non abbia solo vincoli per ridurre l’impatto sulla biosfera. Dobbiamo preoccuparci di creare le tecnologie che serviranno a generare un’economia sostenibile e non limitarci, come fatto fino ad oggi, a importare tecnologie prodotte all’estero. Per farlo servono politiche pubbliche a sostegno dell’innovazione sui temi ambientali, politiche pubbliche che sostengano il Piano 4.0 sulla digitalizzazione – l’uso intelligente dei dati è alla base di una maggiore efficienza e minori sprechi di risorse – e sostegno e incentivo alla comunicazione tra imprese e tra loro e mondo della ricerca. Il problema dell’università oggi è che produce ricerca che non ha applicazioni industriali, rimanendo così fine a se stessa”. 

I risultati

Vediamo nel dettaglio quali risultati ha raggiunto:

  • Emette meno gas serra rispetto alla media Ue (203,4 tonnellate di CO2 equivalente per miliardo di euro di valore aggiunto contro 257,2 tonnellate): si colloca al 6° posto tra i paesi più virtuosi dopo Regno Unito (182), Austria (171,6), Lussemburgo (166), Francia (160) e Svezia (125);
  • Consuma meno materia prima (circa 286,6 tonnellate per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 446,5): è al quarto posto dopo Lussemburgo (246), Regno Unito (238), e Paesi Bassi (221,6). Rispetto al 2009, il 2018 registra in Italia una decrescita importante (-32,5): più alta della medica Ue (-17,05), Francia (-14,9) e Germania (-21,3%);
  • Consuma meno energia (87,4 secondo un calcolo di 10 alla quarta joule, l’unità di misura dell’energia, del lavoro e del calore, per miliardo di euro di valore aggiunto, mentre la media Ue 203,5): è all’ottavo posto dopo Irlanda (65,7), Belgio (25), Lettonia (23,6), Regno Unito (29,2), Ungheria (4,8) e Paesi Bassi (0,12);
  • È leader nel riciclo e nel recupero dei rifiuti (83,1% del totale rifiuti rispetto alla media Ue del 53,2%): i “cugini” Spagna, Francia e Germania si comportano peggio. Rispettivamente, 46,3%, 70,8% e 80,7%.

Cosa c’è ancora da fare

“Certamente, come Italia, possiamo e dobbiamo fare ancora di più. Partiamo però da una posizione molto avanzata” – sottolinea Livio Romano. “Abbiamo tutte le carte in regola per definire un Green New Deal in una visione all’italiana. Proprio per questo non dobbiamo trascurare la possibilità di partecipare ai tavoli tecnici europei dei prossimi mesi”.

La sostenibilità non deve però essere declinata solo in campo ambientale ma anche socio-economico. “Se vogliamo evitare il riproporsi di altre manifestazioni di violenza, come è capitato con i gilet gialli in Francia – scoppiate come reazione alle ecotasse -, dobbiamo far sì che la sostenibilità ambientale non vada a minare il benessere delle persone, soprattutto per le classi più disagiate che ne sarebbero maggiormente colpite”.

Un’altra considerazione, che riguarda anche e soprattutto l’Italia, è che fino ad oggi è diventata leader nella riduzione efficiente del suo impatto ambientale, quindi leader nella circular economy: capace, cioè, di produrre con poco e con pochi scarti. Tuttavia quello che finora è mancata è la traduzione della produzione di beni sostenibili in una filiera industriale. “Questo è un punto cruciale: sostenibilità non significa solo imporre dei vincoli per ridurre l’impatto ambientale ma anche un’occasione per crescere, creare nuovo valore, attività di ricerca e sviluppo, innovazione di prodotto e processo. Noi siamo deboli in questo. E questo è paradossale perché pur vivendo nel continente più green del mondo non produciamo le tecnologie green. E in Italia questo si sente ancora di più: siamo tra i leader nella sostenibilità ambientale ma produciamo meno dell’1% del fatturato industriale collegato a questo settore. Ad oggi, dunque, abbiamo vissuto la sfida alla sostenibilità ambientale come un ‘ci vincoliamo’. E questo va bene ma non basta”, sostiene Livio Romano.

Il ruolo dell’economia circolare

“Per fortuna, esistono progetti, di interesse europeo, molto legati al tema della sostenibilità” – ricorda Romano. ”In particolare ce ne sono due molto avanzati che mirano alla creazione di una filiera europea sulle batterie elettriche, alla base di una rivoluzione green, sostituendo il motore elettrico a quello a combustione. A questi progetti “IPCEI”, in fase di elaborazione a Bruxelles, stanno rispondendo diverse imprese italiane, per diventare partner industriali di questo progetto”.

In questo contesto, l’economia circolare deve essere il nuovo paradigma alla base di tutta l’economia. Deve essere la precondizione di qualsiasi attività umana. “Dal cittadino all’impresa, l’economia circolare è il nuovo modello su cui si deve orientare lo sviluppo umano. Un modello che sostituisca quello lineare per cui si estraggono risorse, si bruciano e si scartano gli avanzi.  Un modello che si serva di sempre meno risorse, riutilizzandole, per poi rimetterle in circolo. Questa non è solo una via possibile ma diventerà una via necessaria: le nostre risorse, d’altra parte, non sono infinite”, conclude Romano. 

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