Energie rinnovabili per lo sviluppo: una bussola per l’Africa

Energie rinnovabili per lo sviluppo: una bussola per l’Africa

06. 10. 2019 Off Di admin

Impossibile pompare acqua da un pozzo, impensabile far funzionare un frigorifero. Nei villaggi rurali dell’Africa Orientale la mancanza di elettricità esclude l’accesso a servizi essenziali, come acqua e strutture sanitarie sicure, e aggrava situazioni di povertà già estrema, malnutrizione e bassi livelli di istruzione. Eppure i sette stati della regione – Kenya, Burundi, Malawi, Mozambico, Uganda, Tanzania e Ruanda – sono ricchi di materie prime e fonti di energia sia rinnovabili che tradizionali.

“L’Africa Orientale è una delle regioni del mondo con la più bassa percentuale di accesso all’elettricità: circa il 50% della popolazione, 140 milioni di persone, non hanno accesso a energia elettrica e questo limita fortemente i margini di crescita e di sviluppo”, spiega Giacomo Falchetta, ricercatore della Fondazione Eni Enrico Mattei che insieme a Simone Tagliapietra, Giovanni Occhiali e Manfred Hafner ha curato il volume “Renewables for Energy Access and Sustainable Development in East Africa”. Lo studio propone un percorso per raggiungere un livello universale di accesso all’elettricità in quest’area.

Energia per tutti, ovunque

In Africa Orientale vivono circa 271 milioni di persone con un tasso di crescita demografico del 2,6%, tra i più elevati del mondo. A questo ritmo nel 2050, nello spazio di una generazione, la popolazione è destinata a raggiungere i 569 milioni di abitanti. Aumenta anche la ricchezza, ma non per tutti. Il Pil è cresciuto in media di circa il 5,9%, con sostanziali differenze da paese a paese, e si prevede che mantenga un ritmo simile nei prossimi anni. In particolare, il settore industriale è cresciuto a un ritmo doppio rispetto all’agricoltura, trascinato da un’attività mineraria molto vivace. Tale crescita, tuttavia, ha avuto impatto limitato sul Pil pro capite reale e sulla riduzione della povertà.

In questo contesto l’energia, se distribuita in maniera capillare, può diventare fattore di sviluppo per tutti. Lo studio dei ricercatori FEEM punta sulle possibilità offerte dalle fonti rinnovabili di garantire un accesso universale, non subordinato cioè all’allaccio a un’infrastruttura nazionale, come avviene nel caso invece delle fonti energetiche tradizionali.

Risorse in loco già disponibili

“Se il nostro obiettivo è quello di garantire a tutta la popolazione, anche a quella che vive nelle aree rurali e quindi più difficilmente raggiungibili dalla rete elettrica nazionale, un accesso minimo all’energia, tale però da assicurare il funzionamento di sistemi essenziali allo sviluppo delle comunità rurali (per esempio le pompe per i pozzi), allora le fonti rinnovabili possono giocare una partita davvero importante”, aggiunge Falchetta.

Si tratta cioè di garantire a una fetta consistente della popolazione dei paesi dell’Africa Orientale di avere accesso all’energia sfruttando le risorse in loco: eolico, ma anche tanto solare e perfino il microidroelettrico. Con un sistema integrato di risorse di questo tipo è possibile fornire un flusso di energia in grado di alimentare sistemi di comunicazione, sistemi di refrigerazione e anche di sollevamento dell’acqua, dando la possibilità a intere comunità di avere accesso a servizi essenziali.

Il mix energetico ideale

I ricercatori hanno studiato nel dettaglio i sette stati dell’Africa Orientale – Kenya, Burundi, Malawi, Mozambico, Uganda, Tanzania e Ruanda – e, in alcuni casi, hanno incluso nelle loro ricerca anche il Sudafrica. “Pur non essendo propriamente appartenente alla regione – chiarisce Falchetta – fornisce comunque una serie di informazioni interessanti per comprendere le problematiche di approvvigionamento energetico”, soprattutto in chiave di impatto delle nuove regole per il controllo delle emissioni. Il Sudafrica è infatti fortemente dipendente dal carbone: oltre a essere la fonte che produce la maggior quantità di gas climalteranti, è anche molto dispendiosa in termini di risorse idriche, di cui, il paese africano non dispone in abbondanza.

L’analisi FEEM ha anche guardato alla distribuzione della popolazione sul territorio, alla loro concentrazione nelle città e alla percentuale di quella ancora residente nelle aree rurali, cercando di correlare, in termini geospaziali, anche la distribuzione delle diverse fonti energetiche, soprattutto di quelle rinnovabili che, in questo percorso di elettrificazione dell’area possono avere un ruolo molto importante.

“Nel complesso – afferma Falchetta – la nostra analisi rivela che il mix ottimo per elettrificare la regione si attesta a una media di 59% di connessioni alla rete nazionale, 37% di sviluppo di mini-reti, e 4% di soluzioni stand-alone. Uno scenario in cui una maggiore quota percentuale di rinnovabili è inserita nella rete nazionale non solo permette di ridurre sino al 46% le emissioni di CO2, ma anche di ridurre i costi del 4,4%”.

I costi continuano a essere elevati

I ricercatori della Fondazione Eni Enrico Mattei si sono spinti oltre e hanno cercato di capire che flusso di risorse sarebbe stato necessario per costruire un sistema così strutturato e si sono chiesti anche dove andare a reperire i capitali necessari. Il totale per l’elettrificazione è pari a 83,5 miliardi di dollari, e la cifra in termini pro-capite è di 15,6 dollari per cittadino nel primo anno di investimento, mentre se si considera solo la fetta di popolazione senza accesso la cifra sale a 20,1 dollari per cittadino.

Il punto, però, è che la popolazione senza accesso all’energia non è in grado di sostenere questa spesa e – anche laddove in grado – fino a oggi è mancata la canalizzazione dell’investimento pubblico e con partecipazione privata per la realizzazione dell’infrastruttura. Inoltre vanno considerati all’incirca 40 miliardi aggiuntivi richiesti per potenziare la rete affinché sostenga tale nuova capacità installata. Si arriva così a un totale di 123,5 miliardi (5,6 miliardi per anno se l’obiettivo è 100% elettrificazione entro il 2030), cioè 23 dollari pro capite nel primo anno di investimento, un costo troppo elevato in relazione alle disponibilità economiche della popolazione.

Kenya esempio virtuoso

Dal Kenya potrebbe arrivare un modello di riferimento replicabile anche agli altri paesi dell’area. Negli ultimi 5 anni il suo tasso di elettrificazione è salito di circa venti punti percentuali, raggiungendo il 74% di oggi. Come? Permettendo ai privati di investire in infrastrutture pagando le stesse in maniera dilazionata e proporzionale ai consumi. Il Kenya è uno dei mercati più vivaci per le aziende private che sfruttano sistemi di pagamento smart (cioè via telefonia mobile) e modelli di business pay-as-you-go che permettono anche agli utenti con un reddito limitato di evitare il pagamento di grosse somme ‘upfront‘, che possono rappresentare un forte scoglio iniziale. In questo modo, per esempio, l’acquisto dei pannelli solari sul tetto di casa avviene in leasing o a rate a lungo termine, mentre ciò che si paga è l’effettivo consumo elettrico.

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