Le vere ragioni della morte programmata del Maggiolino

Le vere ragioni della morte programmata del Maggiolino

10. 08. 2019 Off Di admin

Nato nella Germania nazista, il Maggiolino è diventato un simbolo di libertà, ha sperimentato una fase hippie, ha conquistato l’America, si è ritagliato un posto d’onore a Hollywood, si è rifatto il trucco 2 volte e mietuto cifre da capogiro. Ma la sua corsa si è arrestata quest’anno, quando ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte a un nemico ad oggi imbattibile: il suv. I nostalgici sperano in un ritorno in versione elettrica, ma intanto, la versione ufficiale è che il Herbie è parcheggiato per sempre.

In 81 anni, la casa madre Volkswagen ha venduto quasi 22 milioni di unità a fronte di sole due ri-progettazioni. Segno che il Maggiolino piaceva sempre e comunque, così com’era. I suoi punti di forza? Le dimensioni ridotte, il prezzo contenuto, la praticità. E poi facile ed economico da riparare. La Volkswagen ci ha visto giusto e puntando su queste caratteristiche ha assicurato al suo Maggiolino un posto nei garage della gran parte delle case della Germania, e non solo. La “macchina del popolo” sembrò subito la soluzione migliore per un Paese in via di ricostruzione, e per l’intero continente.

Ma anche nell’America del dopoguerra trovò una precisa collocazione: in piena suburbanizzazione, il Maggiolino era la seconda macchina perfetta da preferire alle auto americane classiche sempre più grandi e costose. La popolarità tra la generazione del baby boom ne decretò il successo, complice anche la crisi del carburante degli anni ’70. Il risultato fu che nel 1972, co 15 milioni e 7.034 vetture, ‘Herbie’ sorpassò Model T della Ford, prodotto di punta della casa automobilistica americana. Oggi è la quarta auto al mondo per numero di esemplari prodotti, dopo Toyota Corolla, Ford F-150 e Volkswagen Golf.

In tutta la sua lunga carriera, il Maggiolino è stato sottoposto a soli due grandi restyling: uno nel 1998  l’altro nel 2012, quando ha assunto tratti più ‘mascolini’.

La storia del Maggiolino inizia nel 1934 quando Adolf Hitler annuncia al Salone di Berlino che l’auto non dovrà più essere privilegio esclusivo della classe benestante, si legge su Maggiolino Web. A Ferdinand Porsche affida l’incarico di costruire la Volkswagen. Nel ’36 sono pronti i primi 3 prototipi (due berline e un cabriolet) cosicché, poco più tardi, Hitler affida l’incarico di trovare il luogo adatto per edificare la fabbrica del futuro Maggiolino. Il luogo prescelto è una vasta zona della Bassa Sassonia, nei pressi del castello di Wolfsburg del conte Von Schulenberg, che vedrà espropriate le sue terre.

Nel ’38 avviene la cerimonia della posa della prima pietra di quella che sarebbe diventata (ed è tuttora) la più grande fabbrica d’automobili al mondo. Il nome scelto per il futuro Maggiolino era KDF Wagen (Kraft Durch Freude Wagen), ovvero “Auto della forza attraverso la gioia”!

Nel settembre ’39 inizia la seconda guerra mondiale e la produzione civile del Maggiolino è convertita in militare; ciò avrà molta rilevanza per il futuro del Maggiolino perché a causa della guerra esso dovette subire il più duro collaudo al quale mai nessun’altra auto era stata prima (ed oggi) sottoposta.

E se la cavò benissimo: in qualunque condizione climatica (dalla torrida Africa alla gelida Russia) e in tutti i tipi di terreno (nel fango, nella sabbia e nella neve) il Maggiolino non si fermava davvero mai.

Nel maggio del ’45 la guerra finisce e della fabbrica di Wolfsburg, seriamente danneggiata dai bombardamenti, rimane in piedi solo un terzo.

Si pensa di demolirla, ma grazie soprattutto al maggiore Ivan Hirst (al quale era stata affidata) gli Inglesi cambiano idea e, qualche anno più tardi, la riconsegnano ai Tedeschi, dando l’incarico di dirigerla a Heinz Nordhoff.

Nel frattempo gli operai, con gli ultimi materiali salvati ai bombardamenti, avevano faticosamente ricominciato a costruire il Maggiolino, ma la produzione era a livelli bassissimi.

E sarà proprio Nordhoff a compiere il “miracolo”: dalle poche centinaia d’auto prodotte nel ’46 si passerà a 19.000 nel ’48 e a 46.000 nel ’49, con una crescita continua ed esponenziale che rallenterà solo a metà degli anni 70.

In Italia, nel ’63, vengono immatricolati 42.000 Maggiolini e in America chi lo vuole deve aspettare anche 5 mesi. Nel 2003 sono 21 milioni i Maggiolini prodotti dal 1938. Ma dopo aver raggiunto a lungo l’apice, l’auto simbolo dl dopoguerra inizia la sua discesa. Qualcosa è cambiato: nel frattempo, i veicoli sono diventati più grandi e le vendite di auto più piccole sono diminuite. I prezzi del gas a buon mercato hanno causato un boom di SUV e crossover. Ed è proprio ai Suv che si è convertita la linea dello stabilimento di Puebla, in Messico, che produceva l’ormai tramontato Maggiolino.

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