Perché la proposta tedesca sull’unione bancaria farebbe male all’Italia

Perché la proposta tedesca sull’unione bancaria farebbe male all’Italia

08. 11. 2019 Off Di admin

Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha respinto al mittente la proposta con la quale il collega tedesco, Olaf Scholz, ha suggerito di superare lo stallo sul completamento dell’unione bancaria. Il cuore del piano di Scholz è non rendere più a “rischio zero” per le banche acquistare titoli di Stato, bensì misurare tale rischio sul rating del debito dei diversi Stati membri dell’Eurozona. Ciò, chiaramente, avvantaggerebbe la Germania, i cui Bund hanno un rating tripla A e sono considerati l’investimento sicuro per eccellenza. Ll’Italia e le altre nazioni con spread elevati e rating mediocri resterebbero penalizzate. E non è l’unico motivo per il quale Gualtieri ha ritenuto tale proposta pericolosa per l’intero sistema bancario europeo. Anzi, il progetto di Scholz appare talmente irricevibile per i partner della sponda Sud dell’Europa da apparire quasi provocatorio. 

A che punto è l’unione bancaria

Il progetto di unione bancaria dell’Eurozona rimane incompiuto da anni. I primi due pilastri, la vigilanza unica e il meccanismo di risoluzione unico, sono stati posti nel 2014 e nel 2016. Il terzo, l’istituzione di un sistema di garanzia comune per i depositi bancari, manca ancora all’appello, per via delle resistenze della Germania. La ragione è la stessa per la quale esiste una moneta unica ma di emissione di buoni del Tesoro unici, i vagheggiati Eurobond, ormai non si discute nemmeno più: il timore di Berlino di dover pagare per i partner dalle finanze più fragili o, meglio, il timore dei partiti di governo tedeschi dei costi politici di una maggiore integrazione, che sarebbe percepita dai loro elettori come un’occasione per le presunte cicale mediterranee di approfittarsi delle virtuose formiche teutoniche.

Su questo fronte la tattica di Angela Merkel è sempre stata la stessa: rimandare, rimandare e rimandare, sperando che prima o poi non se ne parli più. Ma ora la cancelliera appare sempre più distratta e lontana dalle questioni nazionali, tanto da essere messa sotto accusa dalla sua Cdu. L’iniziativa del ministro delle Finanze socialista, che ha esposto al Financial Times una sua proposta – sulla carta personale – per completare l’unione bancaria va quindi letta anche come una mossa a uso interno.

L’Spd in cerca di rilancio

Scholz sembra voler dimostrare che la sua Spd, ridotta ai minimi storici dalla concorrenza a sinistra dei Verdi e della rediviva Linke, è in grado di prendere l’iniziativa e scuotere la Grande Coalizione da un torpore che sta lentamente erodendo la leadership germanica a favore dell’attivismo di un rinvigorito Emmanuel Macron

Non solo. I socialisti tedeschi sono spesso stati visti come il ‘partito della spesa’, sempre pronti a venire incontro alle esose richieste delle suddette “cicale” in contrapposizione alla dottrina dell’austerità incarnata dal predecessore di Scholz, il conservatore Wolfgang Schäuble. La proposta del ministro mostra invece che l’Spd da una parte è in grado di portare avanti l’ integrazione dell’unione monetaria, in opposizione all’immobilismo della Cdu, e dall’altra di porre al riguardo condizioni molto rigide. Talmente rigide da essere indigeribili per gli altri pezzi grossi di Eurolandia, a partire dall’Italia, e quindi politicamente inattuabili, quasi a rafforzare l’ipotesi che quello di Scholz sia stato soprattutto uno spot destinato ai connazionali. 

Gli squilibri dell’unione monetaria

Rendere più rischioso per le banche acquistare titoli di Stato della propria nazione minerebbe, come dice Gualtieri, la competitività degli istituti di credito europei. A perderci di più sarebbero quelli italiani, che negli anni della crisi finanziaria hanno incamerato forti quote di debito pubblico per puntellare un Paese sotto attacco finanziario. ​E, più in generale, verrebbe esacerbata quella che è già un’anomalia: una banca centrale, quale la Bce, priva di un ruolo inequivocabile di prestatore di ultima istanza come, ad esempio, la Federal Reserve. Che comprare un buono del Tesoro americano sia “a rischio zero” è un’ovvietà. Comprare un buono italiano o spagnolo non lo è e, se la proposta di Scholz fosse attuata, lo sarebbe ancora meno. 

Se in Usa uno Stato può andare tranquillamente in bancarotta senza che ciò metta in crisi l’esistenza stessa del dollaro, nel vecchio continente la presenza di una banca centrale non ha impedito a più di un membro di andare vicino a un default disordinato. Certo, dopo la crisi greca, Mario Draghi, vincendo le resistenze tedesche, ha aggiunto all’arsenale il piano ‘Omt’, che consente a Francoforte di acquistare titoli di uno Stato membro a rischio in cambio di un piano di riforme. Meglio di niente ma non un gran miglioramento: qualora un Paese si ritrovi nelle condizioni di Atene, ovvero tagliato fuori dal mercato del debito, dovrebbe essere commissariato per poter essere salvato, come certe nazioni del terzo mondo costrette a tagli draconiani in cambio di un prestito del Fondo Monetario. Quindi, per la mancanza di uno scudo che sia davvero automatico e illimitato, investire in un titolo di Stato europeo è già potenzialmente più rischioso di comprare un bond americano o giapponese. 

Quale messaggio per i mercati?

L’idea di Scholz, pur temperata dall’introduzione di limiti graduali, è di fatto la stessa che aveva Schäuble: spezzare il legame tra le banche e il rischio del debito sovrano invece di annullare semplicemente tale rischio, strada che non potrebbe essere percorsa senza effetti negativi sull’opinione pubblica tedesca. L’implicazione di questo obiettivo è chiara: si dà per scontato che, nel caso di una nuova crisi del debito, non ci sarà una risposta immediata ed efficace, come ci si aspetterebbe da un’unione monetaria funzionale, cosa che l’Eurozona in tutta evidenza non è. Le banche vengono quindi disincentivate a investire in un asset, il debito sovrano, che in Usa o in Inghilterra, con la Fed e la BoE sempre pronte ad allargare i cordoni della borsa quanto e come vogliono, sarebbe l’investimento sicuro per antonomasia.

Il messaggio che si lancia ai mercati è devastante: se ci sarà una nuova Grecia, l’Eurozona ancora una volta risponderà in ritardo e in maniera sbagliata. E chiedere alle banche, come fa Scholz, di effettuare accantonamenti proporzionali alla quota di debito sovrano detenuta avrebbe poi, come sottolinea Gualtieri, effetti distruttivi sulla competitività delle banche europee rispetto alla concorrenza, e per molteplici motivi. In primo luogo, verrebbero considerati rischiosi investimenti, quelli in titoli di Stato nazionali, che per una banca americana o inglese non costituirebbero nessun problema.

Sarebbe poi interessante chiedere a Scholz come dovrebbero comportarsi gli investitori stranieri di fronte a titoli considerati “a rischio” dalle banche degli stessi Paesi che li emettono: come minimo dovrebbero chiedere un premio più elevato, imponendo una pressione al rialzo a tassi e spread. Chiedere ulteriori accantonamenti a banche, come quelle italiane, che hanno già in pancia una gran quantità di sofferenze significa infine aumentare la possibilità di un credit crunch.

il vero obiettivo è salvare Deutsche Bank?

Qual è quindi lo scopo di una proposta come quella di Scholz, talmente indigeribile per i partner latini da apparire inattuabile? Delle ragioni di politica interna abbiamo già detto. Nè è un eccesso di retropensiero che Berlino abbia l’intento di far capire subito chi comanda alla nuova presidente della Bce, Christine Lagarde, che – con un’unione bancaria come la immagina il ministro tedesco – dovrebbe intervenire presto a sostegno del credito entrando di conseguenza in rotta di collisione con la Bundesbank. L’obiettivo principale appare però provare a mettere al sicuro il grande malato del sistema bancario europeo: Deutsche Bank.

Se i titoli di Stato detenuti dalle banche di nazioni con rating non eccelsi verranno considerati “a rischio” e dovranno essere compensati con accantonamenti, farà forse un po’ meno paura la mostruosa (sedici volte il Pil tedesco) esposizione ai derivati alla quale è soggetta Deutsche Bank. E rendere più mobili gli spostamenti di capitali e liquidità renderebbe, per una società così ramificata oltre confine, più semplice attingere dalle risorse delle sussidiarie (ragion per cui le nazioni più piccole guardano alla proposta di Scholz con ben poco entusiasmo). 

Il campo si riequilibrerebbe così abbastanza da rendere più semplice per l’istituto tedesco trovare un partner dopo il fallimento del matrimonio con Commerzbank. Il completamento dell’unione bancaria agevolerebbe infatti le fusioni tra banche di Paesi diversi e la creazione di campioni transnazionali. Con la proposta di Scholz, Deutsche Bank potrebbe quindi diventare un partito più attraente e concorrenziale. Al prezzo, però, di una perdita di competitività dell’intero sistema europeo. 

 

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