“Il caffè è una cosa seria”. Storia e segreti dal chicco alla tazzina

“Il caffè è una cosa seria”. Storia e segreti dal chicco alla tazzina

05. 01. 2023 Off Di admin

AGI – Trucchi e segreti si tramandano di generazione in generazione. Il caffè è una cosa seria: lo diceva Eduardo, ma per qualcuno è ormai una regola. “E non si risparmia” aggiunge Michele Sergio, professione avvocato, con il destino segnato per rappresentare la terza generazione della famiglia che gestisce uno dei caffè storici d’Italia, il Gambrinus di Napoli.

“In realtà è aumentato anche il caffè, come tutto del resto. Ma la gente non si lamenta. In fondo sono dieci centesimi”. Come dire che per uno dei momenti imprescindibili di piacere quotidiano si può anche accettare di spendere un po’ in più.

Ma cosa rende davvero speciale ‘na tazzulella ‘e cafè? 

“E qui potremmo discutere per anni, senza mai arrivare a una conclusione”.

Michele Sergio è cresciuto tra chicchi, sacchi di juta, macinini e macchine a pressione, senza dimenticare l’iconica cuccumella che Eduardo armeggiava in “Questi fantasmi” per una tazzina di caffè con un professore fuori scena. 

“Ognuno ha la sua idea, ma alla fine tutto ruota attorno alla regola delle quattro ‘M’: miscela, macina, macchina e mano del barista”.

Senza dimenticare l’acqua…

“L’acqua rappresenta il 90% della bevanda ed è fondamentale che non sia troppo calcarea. Usare l’acqua di rubinetto significa mortificare tutti gli aromi che i produttori cercano con tanta cura e attenzione. Un buon caffè è come il vino: si possono scorgere tantissimi sentori differenti. E tutto dipende dalla qualità dell’acqua, dalla sua temperatura, che deve restare tra i 93 e i 96 gradi. Altrimenti si appiattiscono tutti i sentori”. 

Anche la miscela ha il suo ruolo?

“L’evoluzione di un chicco di caffè è lunghissima, da quando viene seminato, poi estratto, trasferito in Europa e in America. Ma i 15 minuti più importanti della sua vita sono racchiusi nel momento della tostatura. E in Italia e in tutto il mondo ognuno ha il suo metodo. Qui a Napoli, nei Quartieri Spagnoli una volta c’erano tante piccole botteghe che tostavano il caffè. Per questo è un prodotto artigianale, perché ci sono fasi di lavorazione che richiedono manualità e capacità umane. La qualità arabica è più leggera. La robusta possiede il doppio della percentuale di caffeina che c’è nell’arabica. La nostra miscela preferita contiene entrambe e il dosaggio è uno dei segreti del successo. Poi c’è la macchina “.

La terza ‘M’?

“A Napoli usiamo quella a leva, in altre città si usa quella automatica”.

Fa differenza anche questo?

“La macchina a leva è più artigianale. Conta molto l’esperienza di un barista. In quella automatica non è così. La leva è solo nostra”. 

Poi c’è la ‘mano del barista’…

“Un barista si fa i muscoli con la macchina nell’alzare a abbassare quella leva. Nel contare i secondi, che non devono essere più di 25, altrimenti il caffè viene bruciato. Nel tenere pulito il raccoglitore, nel misurare la pressione. E sa quanti dispetti si fanno i baristi? modificano i parametri, smuovono qualcosa… perché quello del barista è il ruolo più ambito. C’è una carriera anche in questo settore. E poi non le dico dell’invidia e delle corse a chi fa il caffè migliore. Avere un barista in grado di riparare la macchina, quando c’è fila al banco e qualcosa non va, è fondamentale”. 

Meglio il caffè del bar o quello di casa?

“Anche questa è una disputa millenaria. Delle macchinette automatiche che si usano tanto in casa non parlo. Non le considero, ma più che altro per una questione di principio. Il caffè è un piacere, almeno quei cinque minuti che occorrono per una moka – non voglio arrivare alla cuccumella – ma il rumore del caffè che sale, l’aroma che si diffonde… Quei cinque minuti che sono tutti per noi, che siamo sempre al telefono, che corriamo tutto il giorno, che non abbiamo mai tempo, vogliamo prenderceli? E poi il caffè è un momento di aggregazione. Lei quando vuole vedere un amico, un parente, qualcuno cosa dice? prendiamoci una tazza di caffè”. 

In fondo il caffè è di tutti.

“È quello che vogliamo dimostrare ottenendo il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’Unesco. L’anno scorso hanno preferito portare la candidatura della lirica, ma quest’anno a marzo ci riproveremo, con un dossier più completo. Tra l’altro è archiviata ormai quella polemica tra le città in perenne competizione per la tradizione più antica, per il metodo migliore. Quest’anno ci presenteremo come ‘espresso italiano’ riunendo tutte le culture, anche grazie alla rete dei caffè storici, delle città che vivono di questa tradizione, come Napoli, Torino e Treviso”. 

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