Con il caro gas anche nel 2023 a rischio fino a 582 mila posti di lavoro

Con il caro gas anche nel 2023 a rischio fino a 582 mila posti di lavoro

17. 09. 2022 Off Di admin

AGI – Se il caro gas dovesse persistere anche nel 2023 in Italia sarebbero a rischio fino a 582 mila posti di lavoro. Lo afferma Confindustria nella Conguntura flash di settembre. In dettaglio, si afferma, sono state condotte due simulazioni econometriche per il prezzo del gas, che rimanga fino a fine 2023: in una si è assunto un prezzo di 235 /mwh (il valore medio di agosto), nella seconda di 298 /mwh (il livello medio atteso dai futures).

L’impatto per l’economia italiana (rispetto a un dato di partenza in cui il prezzo del gas è tenuto fermo alla media dei primi 6 mesi del 2022 di 99 euro) è stimato in una minore crescita del Pil del 2,2% e del 3,2% cumulati nel biennio 2022-2023, nei due scenari, e in 383mila e 582mila occupati in meno.

Con il rincaro “record” del prezzo del gas raggiunto ad agosto, a causa dei tagli delle forniture dalla Russia, “la resilienza dell’industria è alle corde”, denuncia l’associazione guidatra vda Carlo Bonomi. Dopo mesi di impatto del caro-energia sui margini, adesso a “soffrire” saranno gli investimenti.

Pertanto, “lo scenario vira al ribasso”, peggiorato da un’inflazione altrettanto “record” che “erode il reddito delle famiglie e minaccia i consumi, protetti (in parte e non per molto ancora) dal risparmio accumulato. La Bce ha risposto a prezzi elevati ed euro debole alzando i tassi, che daranno un ulteriore impulso recessivo.

Tuttavia, fa notare l’Ufficio studi di Confindustria, rientrano i prezzi di varie commodity, perché è più fiacca l’economia mondiale. L’Italia, invece, resiste grazie a più mobilità e turismo e alla crescita (minore) delle costruzioni.

Nel nostro Paese, inoltre, tiene finora l’occupazione. Più in generale, per l’industria con effetto combinato di inflazione record, caro-energia e rialzo dei tassi “si materializza la caduta”.

Gli indicatori qualitativi, prosegue Confindustria, sono infatti “peggiorati”: in agosto il Pmi è sceso ancora più in territorio negativo (48,0), segnalando recessione; anche i giudizi sugli ordini Istat sono in flessione, anticipando minor domanda; la fiducia delle imprese ha subito un ulteriore calo, su livelli ridotti.

La produzione industriale ha mostrato un recupero a luglio (+0,4%), confermando la resilienza delle imprese italiane, con una dinamica migliore di quella tedesca e francese, ma è comunque attesa in calo nel terzo trimestre (-1,4% acquisito).

Nelle costruzioni, proseguono i segnali di decelerazione, dopo la lunga fase di espansione: l’andamento dei cantieri già avviati è visto in forte calo nel terzo trimestre.

Il recupero del turismo in Italia, inoltre, sostiene anche l’industria: la spesa dei viaggiatori stranieri ha ormai azzerato il gap dal pre-Covid: -0,9% a giugno (era -21% in aprile). La maggiore spesa per servizi (+5,3% nel secondo trimestre, ma ancora -4,5% il gap) ha trainato i consumi, soprattutto acquisti fuori casa, grazie alla fine delle restrizioni.

In agosto, il Pmi servizi è tornato a indicare espansione, ma a ritmo molto ridotto (50,5). Perciò, il rimbalzo dei servizi è stimato proseguire, più piano, nel terzo trimestre. Anche l’export appare resiliente, con le esportazioni italiane di beni e servizi che hanno continuato a crescere nel secondo trimestre (+2,5%), sebbene con una dinamica più moderata (+4,7% nel primo), sostenuta dall’accelerazione nei servizi (+6,6%).

A luglio è proseguita la crescita dell’export di beni (+3,8% a prezzi costanti), sostenuto dalle vendite di prodotti farmaceutici e di quelli della raffinazione petrolifera; ciò nonostante che il Pmi ordini esteri indicasse caduta. Anche il commercio mondiale nel secondo trimestre è cresciuto ancora (+0,8%), ma poco, con un aumento non omogeneo tra le aree e con incrementi diffusi della capacità produttiva inutilizzata. Il Pmi ordini esteri globale, inoltre, segnala contrazione da molti mesi. 

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