L’inventore del Bitcoin è ancora vivo (o quasi) 

L’inventore del Bitcoin è ancora vivo (o quasi) 

12. 01. 2023 Off Di admin

AGI – Per alcuni istanti, quando il Bitcoin ha sfiorato quota 70 mila dollari, esattamente due anni fa, è stato l’uomo più ricco del mondo. Eppure ancora oggi nessuno conosce con certezza la sua identità. 

Da anni, dall’ottobre 2008, quando è nato il Bitcoin tutta la comunità finanziaria si interroga sulla sua identità. Di lui si sa solo che nel whitepaper che sancisce di fatto la nascita della più celebre delle criptovalute (un testo di sole nove pagine che propone un sistema di transazioni elettroniche “trustless”, che non necessitano cioè di un rapporto di fiducia tra le parti) si firma Satoshi Nakamoto, ma si tratta solamente di uno pseudonimo. E per anni l’ideatore della blockchain e del concetto stesso di valute decentralizzata è riuscito a mantenere un rigoroso anonimato. Ma per quanto scaltro ed attento è impossibile non lasciare tracce, soprattutto quando si possiede circa 1,5 milioni di Bitcoin (approssimativamente 26,7 miliardi di dollari alle quotazioni attuali). E così anche lui ha commesso qualche errore.

A raccogliere gli indizi e a farne un libro intitolato “L’ uomo più ricco del mondo. Un’indagine per scoprire chi è Satoshi Nakamoto, l’ideatore di Bitcoin” (Rizzoli) è stato Gian Luca Comandini, esperto di criptovalute e chiamato a comporre il gruppo di Esperti Blockchain creato nel 2018 dal ministero dello Sviluppo Economico.

“Per anni ho seguito tutte le tracce e gli indizi, anche i più assurdi – ha spiegato all’AGI Comandini ricordando che proprio in questi giorni la Fenix Enterteiment ha acquisito i diritti per trasformare il suo libro in un film – si diceva che a creare il Bitcoin fosse stato l’erede di Pablo Escobar, il figlio di John Nash o addirittura Elon Musk. Ho seguito tutte le piste e tutte, anche le più fantasiose, hanno aggiunto dettagli importanti. Alla fine penso di essere arrivato a delle prove tangibili e ad un nome, che però svelerò solo nel mio libro”.

Gli indizi

Partiamo dalla fine, dalla prova regina: un documento ufficiale dell’acquisto di un servizio da decine di milioni di dollari pagato in Bitcoin da una persona delle “sospettate”. Una persona che esattamente come Satoshi Nakamoto era sparito dai radar da diversi anni e che, esattamente come lui, non era ricco quindi non avrebbe potuto permettersi quel tipo di servizio se non utilizzando i Bitcoin posseduti (e mai spesi fino a quel momento).

Per intenderci, qualche anno fa circolava con insistenza l’ipotesi per cui Hal Finney, un programmatore esperto di crittografia sospettato da anni di avere ruoli centrali nella creazione del Bitcoin, dopo aver scoperto di avere la Sla avesse speso una decina di milioni di dollari per farsi ibernare in attesa di una cura. 

Di sfondo però compaiono anche altre prove: come quando il presunto Satoshi (prima di sparire dal 2014) si collegò ad internet da una piccola cittadina della California dove, coincidenza vuole, vivevano i genitori di uno dei maggiori “sospettati”. O come quella che rende compatibile i suoi dati con quelli di un anonimo imprenditore che nel 2008 aveva pubblicato degli annunci online per cercare collaboratori per un importantissimo progetto che avrebbe cambiato il mondo (annunci immediatamente rimossi dopo il lancio della criptovaluta).

“Ad un certo punto ci si era convinti che dietro al nome di Satoshi Nakamoto ci fosse in realtà un team – ha poi proseguito Comandini – ma questo è perché per diverse ragioni dopo essere sparito aveva bisogno di alcuni collaboratori che lo aiutassero. Tutte le prove raccolte vanno nella stessa direzione”.

Un giallo insomma risolto (in parte o in toto è ancora da vedere). Di certo non è da escludere che l’enorme fortuna del Bitcoin sia dipesa un po’ anche da quell’alone di mistero che ha circondato la sua creazione. Fino ad oggi.

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