La linea “laica” di Telegram sulla guerra

La linea “laica” di Telegram sulla guerra

19. 03. 2022 Off Di admin

AGI – Telegram è con buona probabilità il social che ha guadagnato più popolarità dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Se Twitter è diventato uno strumento indispensabile per la comunicazione ‘broadcast’ del governo di Kiev, terreno di scontro tra account ufficiali di ambasciate, governi, personaggi pubblici apertamente sostenitori o oppositori di una o dell’altra parte, Telegram con i suoi 500 milioni di utenti è diventato il canale dove media di stato russi, hacker ucraini, giornalisti indipendenti sul campo di battaglia comunicano senza restrizioni o problemi di violazione di standard di comunità quello che vedono, o a volte quello che dicono di vedere.

Facebook, Twitter, YouTube, Instagram e le altre grandi piattaforme di condivisione sociali hanno optato per la linea dura nei confronti del Cremlino: via i media di stato e via gli account che diffondono la propaganda di Vladimir Putin per evitare che anche i feednews diventassero megafono della versione di Mosca. Ma anche i social russi, Vkontakte il più popolare, sembrerebbero aver deciso la stretta per link e account che non rispettino la narrativa di Stato. Telegram no.

La linea “laica” di Telegram

Telegram ha adottato una linea più laica: nessun canale è bannato, chiunque può stare sulla piattaforma, ma ha tenuto una rigida policy di tutela della privacy di chiunque condivida contenuti sull’app di messaggistica. “La nostra speranza principale è quella di rimanere collegati al nostro canale Telegram”, ha detto qualche giorno fa al Centro per la protezione dei giornalisti (CPJ) Galina Timchenko, caporedattore del sito indipendente di notizie russo Meduza.

Facebook e Instagram hanno già messo offline questo media, molto seguito in Russia, e anche Vkontakte lo ha disabilitato perchè non allineato alla voce ufficiale del Cremlino. Su Telegram c’è. Secondo i dati diffusi dall’azienda, l’app di messaggistica è stata scaricata più di 150 milioni di volte dall’inizio dell’anno e la cifra ufficiale di mezzo miliardo di utenti attivi che risale al gennaio 2021.

La decisione di tenere tutti i canali aperti, a prescindere da che voce diano o chi ci sia dietro, ricalca la storia personale del suo fondatore. Pavel Durov, 38 anni, è il fondatore di Vkontakte, il Facebook di Russia. Ma nel 2014 fu costretto a venderlo a uomini vicino a Putin per essersi opposto alla diffusione di dati personali dei manifestanti antirussi che a Kiev diedero vita alle proteste Euromaidan. Durov, di madre ucraina e padre russo, lasciò dietro lauto compenso.

Due anni dopo fondò Telegram dove ha continuato ad adottare lo stesso approccio libertario: nessuna policy di comunità, massima privacy e cifratura dei messaggi nei canali che possono ospitare fino a 200.000 persone. Nei giorni scorsi Durov ha condannato la guerra, ricordando le sue origini ucraine, e ribadendo che nessun cittadino di Kiev dovrà sentire minacciata la propria privacy usanto il social. 

Un posizionamento atipico

In realtà Telegram ha beneficiato di questo suo posizionamento atipico già da prima del conflitto in Ucraina. Negli anni si è inserito in questo segmento: massima libertà e smarrimento totale dalle logiche di business dei grandi social media americani, basati su profanazione delle abitudini degli utenti e pubblicità.

Il picco dei download Telegram lo ha avuto nel 2021, quando un rapporto della rete ProPublica ha rivelato che i team di Facebook stavano visualizzando i messaggi inviati tramite WhatsApp (che dovrebbero essere criptati). Ma Telegram beneficia anche dell’immagine dei suoi fondatori, i fratelli Pavel e Nikolai Durov.

“Telegram è una grande storia di vendetta, e tutti amano questo tipo di storie”, dice Enrique Dans, un professore specializzato in sistemi informativi alla IE Business School di Madrid. “Sarà sufficiente per rendere Telegram il messaggero preferito del mondo? Questo è molto lontano. Ha ancora molto da mostrare in termini di sicurezza, crittografia e modello di business”. La piattaforma, che ha sede a Dubai, sostiene di essere “più sicura dei messaggeri di massa come WhatsApp”, non cripta i messaggi di default, a differenza della filiale di Facebook.

Un social non immune alla disinformazione

“Il fatto che la reputazione di Telegram sia cresciuta enormemente nelle ultime settimane ha aumentato l’impatto della disinformazione sulla piattaforma”, spiega Jamie MacEwan, visto che il servizio di messaggistica è già stato criticato per molti anni per la sua propensione a far filtrare contenuti bloccati da altri social network. Venerdì, la Corte Suprema del Brasile ha ordinato il blocco di Telegram per non aver rispettato gli ordini del tribunale relativi alla disinformazione.

Durov sul suo canale ha detto che Telegram impiega “diverse centinaia di moderatori professionisti per garantire la sicurezza della piattaforma”, un team che era “in costante crescita”.

Meta (già Facebook) impiega decine di migliaia di moderatori e lascia ancora passare grossi problemi”, ragiona Jamie MacEwan, ma “che tipo di investimento Telegram può fare nella moderazione con il suo attuale modello di finanziamento non è chiaro”.

Finanziamenti incerti

Telegram è alla ricerca di un modello di business solido. Al momento si basa ancora su larga parte sui soldi investiti da Pavel Durov. Ha provato strade alternative, ma fallendo. Nel 2019 ha raccolto fondi per una Ico (initial coin offering, offerta iniziale di moneta): 1,7 miliardi di dollari per lanciare la propria criptovaluta e e diventare “un’alternativa vera a Visa e Mastercard”.

Ma il progetto è fallito a causa di una mancanza di approvazione da parte della Sec negli Stati Uniti, e la società è stata costretta a rimborsare la maggior parte dei fondi. Telegram è completamente gratuito. L’anno scorso ha lanciato un account premium a pagamento, ma al momento non si sa quanti l’abbiano attivato.

Nell’aprile 2021, il quotidiano d’affari russo Vedomosti ha riferito che il gruppo si stava preparando a diventare pubblico nel 2023 e puntava a una valutazione tra i 30 e i 50 miliardi di dollari. “La valutazione che Telegram potrebbe raggiungere dipende molto dalla sua strategia di monetizzazione“, secondo Enrique Dans, “e Durov non è stato molto chiaro su questo finora”. 

✍️ @arcamasilum

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