Studio della Fondazione Mattei su progresso tecnologico, risorse naturali e crescita economica nei Paesi in via di sviluppo

Studio della Fondazione Mattei su progresso tecnologico, risorse naturali e crescita economica nei Paesi in via di sviluppo

29. 04. 2020 Off Di admin

Lo sviluppo di un Paese o di una intera regione, può essere avviato e anche accelerato se all’economia di questo Paese viene dato uno shock tecnologico esterno, soprattutto quando non intervengono una serie di fattori che ne possano in qualche modo pregiudicare il successo finale.

Sono queste le principali conclusioni di uno studio della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) a cura di Maurizio Malpede, senior specialist FEEM. La sua ricerca dal titolo “Tre saggi sul progresso tecnologico, le risorse naturali e la crescita economica“, è molto articolata. Grazie a una mole di dati molto consistente, il lavoro di ricerca affronta il tema dello sviluppo economico nelle aree rurali, partendo dall’analisi di fenomeni storici, come per esempio la diffusione della patata nel Vecchio Mondo (Europa, Asia, Africa) e in Oceania, l’impatto della malaria sulle economie rurale e anche, ma è un caso più contemporaneo e circoscritto al Congo, la questione delle miniere di cobalto.

Si tratta di un lavoro di ricerca molto importante che è stato anche insignito del premio EAERE – European Association of Environmental and Resource Economists. Il premio EAERE è dedicato ai risultati accademici innovativi nel campo dell’economia ambientale e delle risorse.

“Il filo rosso che unisce questi tre saggi – ha spiegato Maurizio Malpede – è cercare di scoprire in che modo il progresso tecnologico impatti sullo sviluppo economico. Non è una questione così semplice da risolvere e ci sono diversi tipi di sviluppo tecnologico che ho analizzato nello studio e ciascuno di essi può avere un impatto differente sui diversi sistemi economici”.

Aumento della produttività agricola

Uno dei fattori di innovazione che sono stati meglio esplorati nel corso dell’analisi, è quello del diverso impatto della malaria nello sviluppo delle economie delle aree rurali. In particolare si indaga nel dettaglio in che modo, la comparsa alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo sulle prime campagne che hanno permesso di debellare la zanzara Anopheles da molte regioni del pianeta soprattutto nelle fasce temperate. Focus della ricerca sono state le contee degli Stati Uniti. Malpede ha ricostruito l’aumento che si è registrato nella produttività agricola in ciascuna di esse. “Questo indicatore – ha spiegato – è cruciale per capire le cause di sviluppo economico storico sia tra i paesi che all’interno delle nazioni. L’aumento della produttività agricola infatti libera lavoro dal settore agricolo e lo rende disponibile per altri settori, come per esempio l’industria e in questo modo contribuisce ad aumentare la produttività media di un paese. I dati raccolti ci hanno mostrato che le aree degli Stati Uniti che a mano a mano si liberavano dalla malaria erano anche quelle in cui la produttività agricola si manteneva più elevata, e abbiamo anche rilevato che questo vale ancora oggi”.

Sono proprio le contee strappate alla zanzara Anopheles quelle più ricche. Vale negli Stati Uniti come nel resto del pianeta, per esempio in Italia, dove le zone un tempo caratterizzate dalla malaria (dalle grandi pianure costiere della Maremma e del Sud e della Sardegna al Polesine e al ferrarese) sono quelle dove ancora oggi insistono le principali produzioni agricole e dove più alti sono i rendimenti per ettaro. “Con questo capitolo – ha spiegato Malpede – siamo riusciti a misurare questo impatto positivo dell’introduzione delle tecnologie farmaceutiche e chimiche che hanno permesso di bonificare queste importanti aree e renderle disponibili per l’agricoltura”. Si è trattato di un vantaggio significativo che ha portato ad un incremento consistente di tutti i fattori di crescita economica, non solo della produttività agricola, di circa il 25%. “Il beneficio di questa innovazione è assolutamente evidente” ha continuato il ricercatore.

Le malattie endemiche sono un freno allo sviluppo

Non sempre però l’introduzione di un’innovazione ha un effetto positivo sullo sviluppo economico di un sistema economico, perché potrebbero esserci dei fattori endogeni, propri cioè del sistema economico che è stato coinvolto, che potrebbero annullare i vantaggi acquisiti. È il caso del rapporto tra patata e malaria ovvero dell’impatto dell’introduzione della patata nel nuovo mondo anche in aree dove la malaria è rimasta endemica. Ad esempio in larga parte del Sud Est asiatico, dell’Africa e dell’India. È questo l’oggetto del terzo capitolo della tesi di dottorato che Maurizio Malpede.

“Tutti noi sappiamo che l’introduzione della patata nel XVII secolo in Europa e, più in generale nel Vecchio Mondo, ha rappresentato un fattore di crescita per l’economia molto importante perché ha messo a disposizione una quantità di proteine considerevole – ha spiegato Malpede – Alcuni economisti come Nathan Nunn, Nancy Qian e Paula Bustos, lo hanno dimostrato molto efficacemente: i progressi tecnologici in agricoltura hanno avuto risultati storici positivi e implicazioni sulla crescita della popolazione e sulla produzione economica. Io mi sono mosso in questa direzione e ho voluto verificare se questo assunto continuasse ad essere vero anche in presenza di fattori endogeni che potessero in qualche modo influenzare questo processo”.

Come dimostra la storia infatti, per avere crescita e sviluppo non è sufficiente intervenire solo dal lato della promozione e dello sviluppo tecnologico, ma occorre anche verificare e, semmai, rimuovere eventuali ostacoli che possono bloccare questo processo. In particolare, ed è stato questo il focus di Malpede, quelli legati alla salute. Le condizioni di salute sono infatti alcuni dei principali fattori che possono ostacolare questi meccanismi.

Rapporto tra malattie e sviluppo economico

Lo sa bene Jared Diamond autore di Armi Acciaio e Malattie. Diamond ha spiegato il nesso tra malattie e le diverse condizioni di sviluppo raggiunte in ciascuna regione del mondo. Nel libro, per esempio, si evidenzia il ruolo della tripanosomiasi africana, la malattia del sonno portata dalla mosca tse-tse, una malattia che colpisce l’uomo e anche gli animali, in particolare i bovini, come uno degli ostacoli principali alla penetrazione dell’allevamento nell’Africa centrale.

A differenza di Diamond, la ricerca di Malpede ha messo in evidenza il ruolo della malaria nei processi di sviluppo economici indotti dall’introduzione di una nuova coltura, in questo caso la patata. La malaria è una malattia ancora molto diffusa: nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha registrato 218 milioni di nuovi casi e almeno 405.000 decessi in tutto il mondo. “Per verificare questa ipotesi – ha detto Malpede – ho rielaborato i dati già ampiamente diffusi in studi precedenti da Nunn e Qiann e sono andato a vedere come, quegli stessi indicatori andavano ad evolvere nelle aree dove ancora oggi è diffusa la malaria”. Il risultato della ricerca è molto chiaro. “Purtroppo – ha spiegato – i numeri indicano che anche davanti all’introduzione di un’innovazione che ovunque nel mondo ha prodotto un considerevole livello di crescita di tutti i fattori, nelle aree colpite dalla malaria, questo effetto viene completamente assorbito e quindi annullato.

La spiegazione è molto semplice: dove c’è ancora la zanzara Anopheles, i contadini si ammalano o rischiano di ammalarsi, la produttività non cresce perché i campi continuano a rimanere incolti. Al contrario, se la malaria è debellata, queste aree possono conoscere gli incrementi più significativi in termini di produttività. Inutile quindi sperare di superare gli ostacoli legati al sottosviluppo magari agendo solo sotto il profilo dell’innovazione, per avere risultati – ammonisce Malpede – occorre rimuovere le cause strutturali del mancato sviluppo, in primo luogo, quelle che riguardano la salute delle persone”.

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