MORNING BELL: la Fed lascia i tassi invariati ma la stretta non è finita 

MORNING BELL: la Fed lascia i tassi invariati ma la stretta non è finita 

21. 09. 2023 Off Di admin

AGI – I mercati perdono colpi e sono in affanno, dopo che ieri la Fed non ha smesso i suoi abiti da ‘falco’, mantenendo invariati, come previsto, i suoi tassi d’interesse, ma lasciando intendere che questa pausa non significa la fine delle strette e che la fase restrittiva di politica monetaria sarà più lunga del previsto. In altre parole la Fed ha messo in conto un altro rialzo dei tassi quest’anno e meno tagli nel 2024 e 2025, dicendosi convinta di essere in grado di raffreddare l’inflazione senza una recessione o un forte aumento della disoccupazione.

La mossa ha ridotto la propensione al rischio degli investitori, facendo schizzare i rendimenti del Treasury a 2 anni al 5,2%, il top da 17 anni, mentre le Borse asiatiche calano e anche i future a Wall Street e in Europa arretrano, dopo che ieri i tre indici di New York hanno terminato la sessione col segno meno.

Nel dot plot, il grafico che prospetta le proiezioni economiche individuali dei funzionari della Fed, si legge che i tassi toccheranno il picco quest’anno al 5,5-5,75%, il che significa che a novembre o dicembre ci sarà un altro rialzo di un quarto di punto e che nel 2024 ci saranno 2 tagli contro i 4 previsti a giugno.

La Fed crede in un atterraggio morbido 

“La diminuzione del numero di tagli nel 2024 è uno dei cambiamenti più significativi di questo mese”, commenta Andrew Patterson, economista senior di Vanguard. “Ciò significa – aggiunge – che la Fed è sempre più fiduciosa di poter attuare un atterraggio morbido e che l’economia può sopportare tassi più alti più a lungo”. Ieri Jerome Powell ha ribadito che la Fed deciderà sui tassi “meeting dopo meeting” sulla base dei dati, e che per centrare il target d’inflazione del 2% ci vorrà parecchio tempo.

“La lezione che Powell ha appreso dall’esperienza degli anni ’70 – si legge sul Financial Times – è che dichiarare vittoria e allentare la politica troppo presto, vuol dire far riemergere il genio dell’inflazione dalla lampada e poi dover aumentare nuovamente i tassi”.

I paragoni con gli anni ’70 – quando successivi shock petroliferi portarono a una seconda ondata di inflazione – sono stati rispolverati, perchè il prezzo del petrolio è salito del 30% negli ultimi due mesi, pur frenano oggi sui mercati asiatici, proprio a causa della prospettiva dei tassi più alti negli Stati Uniti. 

In Asia penalizzati i listini a più alto contenuto tecnologico

Oggi in Asia i listini più penalizzati sono quelli a più alto contenuto tecnologico e cioè Tokyo, Seul e Hong Kong, che perdono rispettivamente tra l’1% e l’1,5%. Anche Sydney e Mumbay sono in rosso, mentre Shanghai arretra un pò meno, intorno al mezzo punto percentuale, dopo che ieri la Pboc ha mantenuto i tassi di riferimento sui prestiti ai minimi storici, assicurando di essere pronta a fornire maggiori stimoli monetari.

Tuttavia i mercati cinesi in questa fase si lamentano dell’incapacità di Pechino di garantire stimoli adeguati in grado di far ripartire l’economia. In Asia i prezzi del petrolio sono calati, assestandosi nettamente al di sotto dei massimi da 10 mesi toccati in precedenza, a causa della Fed e in vista delle riunioni di oggi della BoE e di domani della Boj.

A Londra la Banca d’Inghilterra potrebbe non aumentare i tassi, dopo che l’inflazione nel Regno Unito ieri è cresciuta leggermente meno del previsto. Domani toccherà alla Banca del Giappone, che probabilmente non farà cambiamenti offrendo però spunti su una potenziale svolta per allontanarsi dai tassi di interesse negativi. Il governatore Kazuo Ueda aveva recentemente segnalato una simile mossa, affermando che i salari e l’inflazione erano cresciuti costantemente negli ultimi mesi.

Il dollaro si rafforza sull’euro 

Il biglietto verde, dopo la Fed, ha ripreso a rafforzarsi sopra 1,06 sull’euro e sopra quota 148 sullo yen, mentre la sterlina è debole sul dollaro a 1,2322, dopo che ieri la discesa a sorpresa dell’inflazione ha abbassato al 50% le probabilità che la BoE rialzi oggi i tassi e di conseguenza ha aumentato al 50% la possibilità di una pausa. Dopo i dati sull’inflazione “l’incontro della Banca d’Inghilterra è diventato molto più interessante”, ha commentato James Smith, economista di Ing.

Oggi, oltre alla Boe, sono attese le decisioni sui tassi di Indonesia, Filippine, Svizzera, Svezia, Norvegia, Turchia, Sudafrica e Taiwan. Dagli Usa inoltre usciranno i dati sul mercato immobiliare e i sussidi di disoccupazione, mentre domani, per quanto riguarda i dati macro, è prevista una stabilizzazione degli indici Pmi manifatturieri e dei servizi, con quest’ultimo che proprio il mese scorso si è indebolito, scandendo spesso sotto soglia dei 50 punti, ossia in area di contrazione, mentre il manifatturiero è depresso da oltre un anno.

Sempre domani in Giappone avremo i dati sull’inflazione di agosto. Intanto negli Usa proseguiranno le trattative per evitare lo shutdown delle attività del governo. I legislatori americani hanno a disposizione meno di due settimane di tempo per votare un disegno di legge sulla spesa fiscale, il cui fallimento potrebbe causare l’interruzione del funzionamento di ampie fasce di attività del governo.

 

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