Borse asiatiche in calo, future negativi in Europa. Attesa una stretta piu aggressiva della Fed

Borse asiatiche in calo, future negativi in Europa. Attesa una stretta piu aggressiva della Fed

11. 02. 2022 Off Di admin

AGI – Nella giornata di venerdì 11 febbraio, i mercati sono in fibrillazione dopo che un aumento sopra le attese dell’inflazione Usa a gennaio, ha fatto schizzare il rendimento dei Treasury sopra il 2% per la prima volta dal 2019 e ha alimentato l’aspettativa di un rialzo più forte del previsto dei tassi d’interesse da parte della Fed.

In Asia, Hong Kong e Shanghai calano rispettivamente dello 0,6% e dello 0,67%, mentre Tokyo è chiusa per festività. Arretrano i future di Wall Street, che ieri ha chiuso in negativo, in particolare il Nasdaq giù del 2%. Anche l’avvio dei listini europei è previsto in calo, con l’EuroStoxx 50 giu’ dello 0,5%.

Intanto oggi i principali market mover sono i dati sull’inflazione in Germania a gennaio, quelli sul Pil della Gran Bretagna nel quarto trimestre e quelli sulla fiducia dei consumatori Usa a febbraio.

A gennaio l’inflazione Usa ha corso più delle attese e si è impennata ai massimi da 40 anni, salendo al 7,5% annuale dal +7% di dicembre e contro un atteso +7,3%. A mandare in tilt i mercati e a far schizzare verso l’alto i rendimenti dei Treasury è stata soprattutto l’incertezza per le future mosse della Fed, in particolare dopo che James Bullard, membro votante del Fomc, il comitato di politica monetaria della Fed, ha detto che i dati sull’inflazione lo hanno reso “fortemente” piu’ falco, spingendolo a prevedere un aumento di mezzo punto percentuale a marzo e di un punto percentuale entro il primo luglio. C’e’ molta incertezza sulle prossime mosse della Federal Reserve.

L’inflazione sale del 7,5% a gennaio, al top da 40 anni

L’inflazione negli Usa balza al 7,5% a gennaio, ai massimi dal 1982. L’indice core, al netto di energia e beni alimentari, il preferito della Fed, ha segnato un aumento del 6% accelerando rispetto al 5,5% di dicembre. I prezzi delle auto usate, schizzati del 40,5% rispetto a gennaio dello scorso anno e gli affitti del 30%, sono i due principali responsabili del balzo dell’inflazione. Il cibo ha segnato un aumento del 7%, spingendo al rialzo i prezzi dei ristoranti e dei fast-food, rincarati dell’8%. E i prezzi dell’energia sono saliti dello 0,9% rispetto a dicembre e del 27% su base annua.

I tassi sui treasury a 10 anni sono schizzati sopra il 2%

L’aumento dei prezzi ha fatto schizzare i rendimenti dei Treasury Usa di 12 punti base sopra al 2%, per la prima volta dal 2019 e anche il rendimento dei titoli del Tesoro a 2 anni, la durata piu’ sensibile ai tassi di interesse, è salito di 26 punti base, raggiungendo l’1,6%, il balzo in avanti piu’ forte dal 2009. Si e’ dunque appiattita la curva dei rendimenti.

C’è più incertezza sulle prossime mosse della Fed

Dopo l’impennata dell’inflazione, ora tutti si chiedono cosa farà la Fed. Finora il mercato era pronto a scommettere su sei ritocchi del denaro dello 0,25% ciascuno nel 2022 a partire dalla prossima riunione del comitato direttivo, ma “dopo questo forte aumento dell’inflazione – commenta Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim – si apre la discussione sull’ipotesi di aumento dei tassi a marzo di mezzo punto percentuale.

Tuttavia – aggiunge, non sarà una scelta facile e molto probabilmente sarà una scelta ‘last minute’ da parte della Fed. E questo perché la curva dei rendimenti si sta appiattendo. Lo spread 5-30 anni è a solo 39 punti base, in pratica il 30 anni rende lo 0,39% in più rispetto al 5 anni: pochissimo. Dunque, se la Fed decidesse per un aumento dello 0,50% invece dello 0,25% l’appiattimento verrebbe accelerato, perche’ i tassi a breve salirebbero piu’ di quelli a lungo termine. La curva quindi tenderebbe ad avvicinarsi allo zero.

E questo per i mercati sarebbe un segnale molto pericoloso. In pratica per gli operatori tutto cio’ significherebbe un rischio recessione di qui a 18/24 mesi. In altre parole, un rialzo di mezzo punto dei tassi a marzo, sarebbe un segnale forte contro l’inflazione ma anche, a causa del forte appiattimento della curva dei rendimenti, un pericoloso segnale di possibile recessione segnalato dalla curva dei tassi”.

“Se la Fed vuole evitare questo dovrebbe rialzare i tassi solo di un quarto di punto e accelerare la discussione su quando intende partire per ridurre il suo bilancio, che attualmente e’ di quasi 9.000 miliardi di dollari. In questo modo spingerebbe al rialzo i tassi a lungo termine e potrebbe raddrizzare un po’ la curva dei rendimenti. In questo momento le percentuali di un rialzo dello 0,25% o dello 0,50% a marzo sono stimate 50 e 50 dal mercato”.  

La Fed è a un bivio e c’è il rischio di una frenata 

Anche sul numero di rialzi dei tassi per il 2022 da parte della c’è molta incertezza. Per i mercati saranno 6, ma solo ieri il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic ne ha previsti 3 o 4 aumenti, osservando che “ogni opzione è sul tavolo” quando si tratta di combattere contro l’inflazione. E ieri Bullard ha ipotizzato un punto percentuale pieno di rialzi entro il primo luglio.

“Il mercato in questo momento – spiega Cesarano – è più avanti di quello che probabilmente fara’ la Fed. L’inflazione negli Usa sta crescendo molto piu’ dei salari. Basti pensare che oggi e’ uscito il dato sui salari reali settimanali medi, che negli Usa sono calati a gennaio del 3,1%. Questo significa che il potere d’acquisto degli americani diminuisce con possibile impatto sulla crescita nel secondo trimestre. E questo potrebbe cambiare l’ottica in cui si muoverà la Fed. Ancora è troppo presto per dirlo, ma i segnali ci sono tutti”.

Bce pronta ad agire sui tassi (ma con cautela) 

La situazione resta per ora diversa in Europa. Il mercato monetario sconta una possibilita’ dell’80% di un aumento del costo del denaro di 10 punti base entro giugno e del 90% di un rialzo di 50 punti base entro fine anno. Ma se la Fed ha espresso già da tempo la propria determinazione ad agire sui tassi, provocando un appiattimento della curva dei rendimenti, l’Eurotower ha aperto soltanto da pochissimo a un’ipotesi di rialzo ed è ancora molto esitante.

Il capo economista Philip Lane ha detto che l’inflazione sembra destinata a tornare al suo trend normale senza un significativo inasprimento della politica monetaria. “Il punto – sostiene Cesarano – è che mano a mano che ci avviciniamo al secondo semestre, aumentano i segnali di una crescita che rallenta. Questo significa che l’ipotesi di rialzo dei tassi della Bce, pur rimanendo sul tavolo, potrebbe non realizzarsi o solo parzialmente”. 

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