Dallo zoo a un fatturato di 16 miliardi: Youtube compie 15 anni

Dallo zoo a un fatturato di 16 miliardi: Youtube compie 15 anni

14. 02. 2020 Off Di admin

Mentre le coppie di mezzo mondo si scambiano fiori e cioccolatini, tre under 30 stanno registrando il dominio Youtube.com. È il 14 febbraio 2005. Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim sono colleghi: lavorano in PayPal. Chen e Karim avevano anche studiato insieme, computer science alla all’Università dell’Illinois. Venti mesi dopo, Google avrebbe speso 1,65 miliardi di dollari per acquisire la piattaforma. Che oggi incassa più di 16 miliardi l’anno e attira oltre 2 miliardi di utenti al mese.

Un’app di incontri mancata

Lo spunto per creare Youtube è arrivato da un seno. Quello di Janet Jackson. Nello spettacolo dell’intervallo del Super Bowl 2004, Justin Timberlake scopre la cantante agli occhi di milioni di spettatori. Su Internet le ricerche su “Janet Jackson” si impennano e le foto si sprecano. Ma Karim si rende conto che rintracciare il filmato non è così semplice. Quella prima impressione viene confermata da un evento di tutt’altro tono, tragico ma altrettanto virale: lo tsunami nell’oceano indiano del 26 dicembre.

Ecco allora l’idea: serve una piattaforma per condividere video. Ma per farci cosa? Chen ha rivelato la prima opzione: una piattaforma di incontri. Una sorta di video-Tinder, nel quale gli utenti si raccontavano in cerca di nuovi partner. I fondatori avevano anche pensato allo slogan: “Tune in, Hook up”. Cioè “sintonizzati e rimorchia”. Oggi, 15 anni dopo, sappiamo che la direzione è stata molto diversa.

Dal primo video ai primi fondi

In quel San Valentino 2005, Youtube era ancora tutto da costruire. Sarebbero passati più di due mesi prima di caricare il primo video. A farlo è Karim, il 23 aprile. Dura 18 secondi. Come dice il titolo (“Me at the zoo”), ritrae il co-fondatore adolescente, allo zoo di San Diego, davanti allo spazio degli elefanti. Un video familiare diventato storico, capace di registrare quasi 85 milioni di visualizzazioni.

La prima sede di Youtube, da buona epica della Silicon Valley, sarebbe stata in un garage. L’accelerazione arriva grazie alla fiducia di un ex collega. Non è un caso, infatti, se dalle parti di San Francisco si parli di “PayPal mafia” (senza accezioni negative). Nella società di pagamenti, infatti, si è formato un gruppo di fondatori e finanziatori di compagnie diventate miliardarie.

Il ruolo della “PayPal mafia”

Il gran capo era Peter Thiel. Ma in PayPal c’erano, oltre ad Hurley, Chen e Karim, anche Elon Musk (Tesla e Space X), Reid Hoffman (fondatore di LinkedIn), Dave McClure (fondatore del venture capital 500 Startups), Russel Simmons (co-fondatore di Yelp). E Roelof Botha, che dopo essere stato cfo di PayPal diventa partner di Sequoia Capital. Proprio da lì arriva il primo investimento di peso ricevuto da Youtube: 3,5 milioni di dollari, nel novembre 2005.

Nell’aprile 2006 arrivano altri 8 milioni (con la partecipazione di Artis Capital). La società adesso può permettersi una sede vera: è a San Mateo (in California), in un loft al primo piano tra un ristorante cinese e una pizzeria. Al di là della posizione curiosa, a meno di un anno e mezzo dalla registrazione di Youtube.com, la compagnia ha già 30 dipendenti. Nel giugno 2006, gli utenti mensili sono 20 milioni, i video caricati ogni 24 ore 65 mila. Arriva da Youtube il 60% dei filmati visti online e a luglio viene superata la soglia dei 100 milioni di visualizzazioni al giorno. È tempo di fare il grande salto. È tempo di Google.

L’acquisizione di Google

Il 9 ottobre 2006, Google annuncia l’acquisizione di Youtube, poi completata a novembre. Mountain View sborsa 1,65 miliardi di dollari. Il ritmo di crescita e la possibilità di sfruttare i video per incassare dalla pubblicità è il punto a favore. Ma non mancavano le perplessità, legate soprattutto alle complicazioni sui diritti d’autore. Oggi è facile dire che quell’acquisizione è stata un successo, ma nel 2006 non mancarono le critiche. Mark Cuban, diventato miliardario negli anni delle dotcom, affermò che solo “un imbecille” avrebbe rilevato Youtube, perché sarebbe stato travolto dalle cause legali.

Ciao Youtube, siamo diventati milionari”

Quella di Google è stata una scommessa (vinta). C’è stato però chi ha potuto festeggiare sin da subito, senza curarsi troppo delle previsioni. Sono stati i fondatori della piattaforma: Hurley e Chen (le facce pubbliche della compagnia), in un video da archeologia di Internetannunciano: “Ciao Youtube, siamo stati acquisiti da Google”. I fondatori non sembrano seguire un copione e non riescono a smettere di ridere. E perché avrebbero dovuto?

La vendita di una compagnia che 20 mesi prima non esisteva aveva fruttato 334 milioni di dollari ad Hurley, 301 milioni a Chen e 66 a Karim. Generoso è stato anche l’incasso dei fondi che per primi hanno puntato su Youtube. Sequoia Capital ha investito circa 9 milioni per ottenerne 516. Artis Capital ne ha intascati 85 con una scommessa attorno ai 3 milioni. Non male per ritorni maturati nell’arco di sei mesi-un anno. Alla fine del 2006, nell’anno dell’acquisizione di Google, il Time sigilla il successo. La “Persona dell’anno” sei “Tu” (You), l’utente. Perché “tu controlli l’era dell’informazione”. Il riferimento a Youtube è chiaro. Sulla copertina c’è uno schermo con una superficie riflettente, per far specchiare chi legge. È circondata da un’interfaccia simile a quella della piattaforma da poco passata a Mountain View.

Quanto guadagna oggi Youtube

Oggi Youtube ha affiancato agli incassi pubblicitari (condivisi con i produttori di contenuti) i servizi su abbonamento (che però rappresentano una porzione ancora piccola). La ceo è Susan Wojcicki. Stando agli ultimi dati ufficiali, la piattaforma raggiunge 2 miliardi di utenti al mese, un terzo di quelli che accedono a Internet in tutto il mondo. Secondo i dati di Alexa, Youtube.com è il secondo sito più frequentato del pianeta, dopo Google.com. Ci sono versioni locali della piattaforma in più di cento Paesi e in 80 lingue. Dire esattamente quanto guadagni Youtube non è possibile perché il suo bilancio è in parte diluito in quello della capogruppo Alphabet. Quest’anno, però, per la prima volta sono stati pubblicati gli incassi pubblicitari: nel 2019 hanno superato i 15 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto a due anni prima.

A questa cifra bisognerebbe aggiungere il fatturato generato dagli abbonamenti e da altri servizi a pagamento, che però non hanno una voce a sé nel conto economico ma fanno parte degli “altri ricavi di Google”. Alphabet ha dichiarato che la crescita del segmento (arrivato a 17 miliardi, quasi 3 in più rispetto al 2018) “è dovuto soprattutto al progresso di Google Play e abbonamenti Youtube”. Secondo una stima di IHS Markit del settembre 2018, il fatturato da servizi a pagamento della piattaforma avrebbe superato il miliardo di dollari nel 2019. Tenendo per buona questa previsione (che pare coerente con le parole di Mountain View) e aggiungendo il fatturato pubblicitario (che invece è certo), lo scorso anno Youtube avrebbe incassato più di 16 miliardi di dollari. Se fosse una società indipendente, starebbe comodamente tra le 200 maggiori compagnie americane.

I video più visti, i canali più popolari

Nel 2005, a “Me at the zoo” bastarono 80.000 visualizzazioni per entrare nella top 5 di quell’anno. Oggi la scala di grandezza è tutt’altra. In attesa del prossimo tormentone, il video più visto nella storia di Youtube è Despacito di Luis Fonsi, con più di 6,6 miliardi di visualizzazioni. I video musicali dominano. Al secondo post c’è Shape of You di Ed Sheeran (4,6 miliardi) e al terzo Baby Shark Dance di Pinkfong (4,5 miliardi). Un posto nella storia di questi 15 anni ce l’ha sicuramente Gangnam Style di Psy.

Il video del brano è stato il primo, nel 2012, a superare il miliardo di visualizzazioni. Oggi è arrivato a 3,5 miliardi e resta pur sempre il settimo filmato più visto di sempre. Il canale con più abbonamenti (128 milioni) è quello di T-Series, un’etichetta indiana. Secondo è PewDiePie, che con le sue partite di videogiochi attrae oltre 100 milioni di iscritti. Terzo, con 72 milioni, è Cocomelon, canale dedicato a canzoni e animazioni 3D per i più piccoli. Lo youtuber più pagato del 2019, secondo Forbes, è stato per un bambino: Ryan Kaji ha otto anni e avrebbe incassato 26 milioni di dollari recensendo giochi.

Le controversie: i minori

Le cassandre sul diritto d’autore che avrebbe costretto Youtube a chiudere si sono rivelate inesatte. Il problema esiste, ma negli anni la piattaforma ha irrigidito i controlli e raggiunto accordi con i produttori di contenuti. Negli ultimi anni è emerso però con maggiore forza il tema dei contenuti “nocivi”. Cioè contrari o sul ciglio delle norme. Non si tratta solo di video isolati (famosi sono i casi di Logan Paul, punito per aver diffuso l’immagine di un suicida, o di PewDiePie, più volte accusato di razzismo e antisemitismo) ma di problemi sistemici. Nel febbraio 2019, il blogger Matt Watson ha rivelato un “circolo di pedofilia soft-core” presente sulla piattaforma, incoraggiato dall’algoritmo.

Nei video non c’erano immagini di abusi ma filmati di bambini. Tramite i suggerimenti di Youtube e i commenti (con link a video sempre più al limite), la piattaforma finiva per stringere questo “circolo”. Alcuni grandi inserzionisti hanno reagito sospendendo la pubblicità. La piattaforma ha deciso allora di chiudere decine di canali e disattivare i commenti sui video che ritraevano minori. Nelle stesse settimane, una mamma americana ha scovato su Youtube Kids, l’app della piattaforma dedicata ai bambini, contenuti che parlavano di suicidi, abusi e sparatorie nelle scuole. Si trattava di cartoni animati, leciti (e ancora visibili) su Youtube, che però non avrebbero dovuto superare il filtro dell’applicazione, nata proprio per creare un ambiente protetto. Sempre a proposito di minori, la piattaforma ha raggiunto un accordo da 170 milioni con la Federal Trade Commission. L’autorità americana aveva avviato un’inchiesta sul trattamento dei dati dei bambini senza il consenso dei genitori.

A gennaio, Youtube ha annunciato una stretta sulla pubblicità nei contenuti destinati ai più piccoli.

Le controversie: le bufale

Nel marzo 2019, versioni modificate della strage di Christchurch, filmate dal terrorista Brenton Tarrant, sono rimaste su Youtube per alcune ore. In casi come questo, la distinzione tra lecito e vietato è chiara. Ma i sempre più evoluti sistemi di controllo (ormai in gran parte automatizzati) restano fallibili. La differenza è più sfumata quando si parla di incitamento all’odio, o del cosiddetto “bias” (cioè la tendenza degli utenti ad assecondare le proprie convinzioni).

L’algoritmo di Youtube suggerisce video simili a quelli già cliccati, anche quando si tratta di bufale e complotti senza alcun fondamento scientifico. Secondo alcune ricerche, come quella guidato da Asheley Landrum della Texas Tech University, la piattaforma avrebbe avuto un ruolo decisivo nella diffusione del terrapiattismo. In molti casi, i video che spiegavano le “ragioni” della Terra piatta erano stati suggeriti dall’algoritmo dopo la visualizzazioni di contenuti sulle teorie del complotto (come quelle che riguardano l’11 settembre e lo sbarco sulla Luna). Discorso simile per i video no-vax. Youtube è intervenuto e sta intervenendo con alcuni correttivi.

Video nocivi sottovalutati

La pubblicazione di video violenti e la proliferazione delle bufale non sono frutto di una scelta precisa di Youtube ma un effetto collaterale della tecnologia che ne è alla base. Lo scorso aprile, però, un’inchiesta di Bloomberg ha rivelato che i vertici di Youtube avrebbero a lungo ignorato il problema dei contenuti nocivi per il timore di frenare il coinvolgimento degli utenti.

Il tema dei video “borderline” sarebbe stato segnalato da “decine di persone” alla ceo Susan Wojcicki sin dal 2016, suggerendo ad esempio di non inserirli tra i suggerimenti. Un’applicazione più rigida delle norme, prima dando maggiore evidenza a fonti attendibili e poi mettendo al bando i contenti no vax, è arrivata solo nei primi mesi del 2019.  

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