La prima fiducia a Giorgia Meloni tra applausi, cori e romanesco

La prima fiducia a Giorgia Meloni tra applausi, cori e romanesco

25. 10. 2022 Off Di admin

AGI – Un sobrio tailleur blu scuro, giacca e pantaloni e top bianco per l’esordio da presidente del Consiglio in Aula. Giorgia Meloni parla per poco più di un’ora, interrotta da oltre 70 applausi, e chiede la fiducia del Parlamento al suo governo, ringraziando innanzitutto i partiti del centrodestra che la sostengono, ma anche le opposizioni che non la voteranno.

Non nasconde l’emozione, che si fa evidente sul finire dell’intervento, quando rivendica le sue origini e si autodefinisce una “underdog”.

Nelle sue parole traspare l’orgoglio per l’essersi ‘fatta’ da sola, per il lungo cammino che l’ha portata ad essere la prima donna a palazzo Chigi.

È uno dei passaggi più emotivi, e tra i più applauditi dal centrodestra (i deputati di FdI in piedi, battimano scroscianti): “Provengo da un’area culturale che è stata spesso confinata ai margini della Repubblica, e non sono certo arrivata fin qui fra le braccia di un contesto familiare e di amicizie influenti. Rappresento ciò che gli inglesi chiamerebbero l’underdog. Lo sfavorito, che per affermarsi deve stravolgere tutti i pronostici. Intendo farlo ancora, stravolgere i pronostici, con l’aiuto di una valida squadra di ministri, con la fiducia e il lavoro di chi voterà favorevolmente, e con gli spunti che arriveranno dalle critiche di coloro che voteranno contro”.

Parole che culminano nella commozione di diversi fedelissimi nell’emiciclo, qualcuno scoppia in lacrime. Alla fine è quasi una ‘liberazione’: “Giorgia, Giorgia”, intonano dai banchi di Fratelli d’Italia.

Dall’altra parte, volgendo lo sguardo verso le opposizioni, il clima è freddo, distaccato. Solo in alcuni momenti, quando ad esempio la premier ringrazia Mattarella e Draghi, saluta Papa Francesco, ricorda i giudici Falcone e Borsellino, omaggia il coraggio dei medici durante la pandemia, solo in questi momenti si levano gli applausi anche dell’altra parte dell’emiciclo.

Pochi gli esponenti delle forze di minoranza che si alzano in piedi (lo fa ad esempio l’ex titolare della Difesa Guerini quando Meloni cita le Forze armate) nelle oltre dieci standing ovation che il centrodestra, ministri compresi, tributa alla presidente del Consiglio, in un crescendo di entusiasmo che la stessa premier a tratti cerca di contenere con un cenno della mano, per poi confessare a Matteo Salvini, scherzando e in romanesco, “sto a morì…. così finiamo alle tre….”. 

Circondata dai suoi due vicepremier, Matteo Salvini alla sua destra e Antonio Tajani alla sua sinistra, Meloni legge il discorso dai fogli che regge in mano, ma non sono pochi i passaggi a braccio, per poi tornare al canovaccio.

Salvini e Tajani – come del resto tutta la squadra di governo, schierata in gran completo in Aula ad eccezione di Pichetto Fratin assente giustificato prchè in trasferta in Ue – applaudono ogni passaggio. Ed è al ministro delle Infrastruttre che Meloni chiede ‘aiuto’ per avere un bicchiere d’acqua, l’ennesimo. Più volte, presa dall’enfasi del discorso, la premier tossisce, si ferma e beve un sorso. In tribuna, ad ascoltare tutto l’intervento, c’è il compagno Andrea Giambruno.

C’è molto dell’orgoglio, ma anche della responsabilità, che la premier avverte nel suo intervento. E Meloni non lo nasconde, rivendicando di aver “rotto il tetto di cristallo”: “Tra i tanti pesi che sento gravare sulle mie spalle oggi non può non esserci anche quello di essere la prima donna a capo del governo in questa nazione. Quando mi soffermo sulla portata di questo fatto, mi trovo inevitabilmente a pensare alla responsabilità che ho nei confronti di tutte quelle donne che in questo momento affrontano difficoltà per affermare il proprio talento o, più banalmente, il diritto a vedere apprezzati i loro sacrifici quotidiani”.

Ed è alle prime donne che hanno aperto la strada che Meloni rivolge il primo tributo del suo intervento: un pantheon tutto al femminile declinato in Aula, da Montessori a Deledda a Tina Anselmi e Nilde Jotti fino a Samantha Cristoforetti e Elisabetta Casellati. Poi il manifesto programmatico: dal fisco alla sicurezza, dal reddito di cittadinanza, che definisce “una sconfitta”, alla libertà di impresa, dal no al ripetere le misure antiCovid dei governi precedenti al presidenzialismo.

Ma è il passaggio sulle leggi razziali e il fascismo forse quello più atteso al varco dalle opposizioni: “Libertà e democrazia sono gli elementi distintivi della civiltà europea contemporanea, nei quali da sempre mi riconosco”, garantisce.

Non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici. Per nessun regime, fascismo compreso” e “ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre”.

Nelle repliche – ormai quasi senza più voce – Meloni risponde punto per punto alle critiche e osservazioni degli esponenti delle opposizioni (“Ho sentito dire che voglio le donne un passo indietro rispetto agli uomini. Mi guardi, onorevole Serracchiani, Le sembra che io sia un passo dietro agli uomini?”, chiede rivolgendosi alla capogruppo dem). Poi scende il primo sipario, in attesa dell’esito del voto di fiducia, il primo al suo governo, da parte di Montecitorio. Domani si replica al Senato.

Articoli nella stessa categoria: