Perché lavoriamo così duramente prima delle vacanze?

Perché lavoriamo così duramente prima delle vacanze?

01. 08. 2022 Off Di admin

AGI – L’ultimo periodo prima delle vacanze? È in genere il più faticoso. Una corsa affannosa a chiudere tutto, progetti, incombenze, lavori, conti, come se il primo giorno del mese d’agosto segnasse uno spartiacque con la fine del mondo. Sarà, fors’anche, perché ad agosto il paese si ferma del tutto. Chiudono le fabbriche, i negozi, le città si svuotano, le attività si paralizzano e ci vogliamo far trovare preparati con quest’appuntamento.

Ma gli ultimi giorni prima della pausa estiva lavoriamo come non mai prima. Sembriamo come matti e in preda all’ansia. Tant’è che ci vuole giusto “una vacanza per riprendersi”, annota la rivista americana “The Atlantic”, perché “le persone possono lavorare così intensamente nel periodo che precede l’essere offline” che hanno bisogno giustappunto di una interruzione per ritemprarsi. E forse neanche quella basta all’inizio, tanto siamo scossi per almeno tutta la prima settimana d’inedia.

“Il tempo libero è un tesoro, ma le persone spesso devono lavorare quasi il doppio per prepararsi”, osserva il settimanale. Ma è un vero e proprio gioco dell’assurdo, perché “il periodo pre-vacanze non deve svolgersi in questo modo”, non dovremmo arrivarci estenuati.

E però, si ha quasi la sensazione che si “stia facendo qualcosa di cattivo andando in vacanza” perché non si contribuisce al progredire del lavoro, ciò che fa sì che “questo senso di colpa può portare i turisti in vacanza a lavorare molto duramente prima del tempo libero, nella speranza di contrastare un calo di produttività mentre sono fuori casa e limitare la quantità di lavoro che i loro colleghi dovrebbero raccogliere in loro assenza”, chiosa “The Atlantic”.

Così, se negli anni ’50 e ’60 fare due mesi di vacanza filata, luglio al mare e agosto ai monti, era un vero e proprio segno distintivo, di benessere e anche di classe, quindi un status di cui farsene un vanto, oggi la famiglia che si prende una vacanza di due settimane viene additata quasi al pubblico ludibrio perché si ritiene sia persino troppo lunga. S’è quasi capovolta la situazione: viene guardato con ammirazione e segno di rispetto chi resta in città inchiodato alla scrivania. Un segno di serietà, competenza, responsabilità e – perché no? – di successo.

Però il servizio di “The Atlantic” osserva che non è così dappertutto. Lo è soprattutto in America, meno in Europa ad esempio: la reazione di disagio nella corsa a prepararsi a chiudere tutto per poi andare in vacanza o il senso di disapprovazione verso chi si prende una vacanza, breve o lunga che sia, sarebbe insolita in gran parte del Vecchio Continente.

Mentalità a confronto tra Usa ed Europa

Secondo la professoressa Jennifer Petriglieri, che insegna Comportamento organizzativo presso la Business School francese INSEAD, interrogata da “The Atlantic”, osserva che nella cultura del lavoro di alcuni paesi, come Francia e Italia, la settimana prima di una vacanza in genere non è molto più stressante di qualsiasi altro momento dell’anno: “Questa reazione sarebbe insolita in gran parte dell’Europa”, ha detto Petriglieri.

Ma c’è anche un altro aspetto o un’altra lettura, secondo il settimanale americano, di questo fenomeno d’ansia pre-vacanze: “Parte della pressione che porta a una crisi dell’ultimo minuto potrebbe derivare dal desiderio di non lasciare i compiti incompiuti”, tant’è che secondo Laura Giurge, professoressa di Scienze comportamentali alla London School of Economics, “molti lavoratori sentono di dover eliminare l’intera lista di cose da fare per staccare completamente la spina dal lavoro e godersi le vacanze” più in tranquillità e in pace con se stessi. La sindrome avrebbe un nome: “Corsa alla scadenza”.

Il risultato, pertanto, sarebbe che “un carico di lavoro più pesante può smorzare la felicità delle persone durante il periodo che precede una vacanza”, come rilevato da alcune ricerche sul tempo libero e sul benessere. Tuttavia, questo non è un buon “modo di vivere o lavorare”, ma per Petriglieri il problema è soprattutto culturale, anche se cambiare la cultura di un’azienda è più gestibile che cambiare quella di un’intera società.

Quanto alle differenze culturali in tema di lavoro e vacanze, tra Stati Uniti ed Europa, resta questa considerazione della professoressa Giurge, che tira le somme: “Sicuramente parte di questo impulso completista” a chiudere tutto prima del relax “è sintomatico di una cultura che dice che le persone devono prima lavorare per poi ‘meritarsi’ lo svago”. Ma c’è anche, in parte, un risvolto psicologico, secondo il quale avere compiti non completamente ultimati può essere “mentalmente scomodo”.

Ciò che finisce per “scatenare una tensione interiore, derivante dal bisogno di chiusura”. Fenomeno che è anche in gran parte “un sottoprodotto della prepotente cultura americana della produttività”, sottolinea “The Atlantic”. Ciò che marca la differenza con un Europa più rilassata e meno stressata. Anche se alla fine si tratta di una corsa solo per l’ultimo miglio…

 

 

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